Ad un cielo sordo per le stelle cieche
Ferite che sono solchi in realtà,
trincee maledette
ed io le uso,
le sfrutto come fossero difese
mi difendo
con lo stesso dolore che mi distrugge
– stupida,
nel mio distruggermi due volte
stupida nel pensare troppo
e nel volere il giusto
perché il giusto, il bene
che penso è utopia
esiste il sufficientemente
ma non la giusta misura.
Ogni notte io le guardo le stelle,
le scrutole cerco e le bramo
come niente altro al mondo
una fonte di salvezza
da cui non mi so sottrarre
o da cui non voglio fuggire
né lottare contro
perché è l’unica cosa che so fare,
remare contro
nei fiumi più bastardi
per sentirmi viva
quando in realtà mi manca
completamente l’aria
e la mia pelle implode
in se stessa.
Resto qui allora
stanotte, mi lascio toccare
mi lascio osservare
da questo cielo curioso
tanto quanto stronzo, non fa domande
perché lui stesso
non mi darà risposte
le stesse che cerco
da un anno preciso
– lo fingerò imprecisato, per modello standard
per seguire la moda dell’essere mistero
perché la luce e la leggibilità
non interessano a nessuno.
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